Home 2016 22 marzo DOCENTI CI SONO ALTRI PANEBIANCO IN ITALIA. IL FOGLIO È ANDATO A CERCARLI E A PARLARE CON LORO
CI SONO ALTRI PANEBIANCO IN ITALIA. IL FOGLIO È ANDATO A CERCARLI E A PARLARE CON LORO PDF Stampa E-mail

All'Università di Bologna, alcuni giorni fa, sono tornati e hanno tentato nuovamente di impedire di tenere lezione ad Angelo Panebianco, professore ordinario che insegna Sistemi internazionali comparati e Teorie della pace e della guerra alla Scuola di Scienze Politiche. Ma stavolta i contestatori sono stati respinti da un cordone di carabinieri. Il politologo aveva già interrotto le lezioni due volte il mese scorso, affrontato e accusato di essere un "guerrafondaio" per i suoi articoli sul Corriere della Sera. Manifesti contro la "casta guerrafondaia", come recita il tazebao dei collettivi, sono stati appesi negli studi dei docenti che hanno espresso solidarietà a Panebianco, la cui libertà di espressione e di insegnamento (e forse non solo) viene oggi garantita da agenti in borghese posti a sua protezione. D. Meghnagi su Il Foglio del 19 c.m. ritiene che la "colpa" imperdonabile di Panebianco sia la sua posizione fuori dal coro di quelli che in modo esplicito, o nascosto, non hanno mai in realtà accettato l'esistenza di Israele. Panebianco sarebbe "colpevole" per avere denunciato in modo inequivocabile il boicottaggio contro le università israeliane come una forma di antisemitismo. E aggiunge: “L'idea che, in uno dei luoghi simbolo della cultura occidentale, un docente debba fare lezione protetto della polizia, ha qualcosa d'inquietante e sinistro”.

Ma il caso Panebianco non è isolato nelle università italiane. Per motivi diversi, ma sempre in nome di un odio ideologico, ci sono numerosi docenti minacciati e aggrediti nella logica dei cento contro uno e del proporre come soluzione per chi dissente il silenzio, le accuse astiose, i fanatismi aggressivi. Siamo andati a cercarli e a parlare con loro, si legge nell’articolo di G. Meotti su Il Foglio del 17 c.m., da cui riprendiamo alcuni passi. E siamo partiti, scrive Meotti, da quegli intellettuali, giuristi, economisti che hanno fatto del "lavoro" il tema della loro vita, frequentando aule universitarie, convegni, uffici studi di Confindustria, fondazioni, governi. "Se hanno dato una tutela a Panebianco dopo le aggressioni all'università, immaginiamoci cosa significhi per chi si occupa dei diritti del lavoro dopo Ezio Tarantelli, Gino Giugni, Massimo D'Antona e Marco Biagi".

A parlare così al Foglio è Michele Tiraboschi, erede scientifico di Biagi, allievo, amico e collega del professore di diritto del Lavoro assassinato dalle Brigate Rosse il 19 marzo di quattordici anni fa a Bologna. Ed è proprio da Bologna che Tiraboschi, autore di "Morte di un riformista", è stato costretto ad andarsene dopo l'assassinio di Biagi. Ancora oggi, dopo quattordici lunghi anni, Tiraboschi è sotto scorta da parte del ministero dell'Interno. Un professore universitario costretto a fare lezione protetto dalla polizia dal 2002. "Scrivere editoriali sui giornali di un certo tipo, fare consulenza per il governo, redigere progetti sul lavoro, è possibile oggi soltanto grazie alla tutela delle forze dell'ordine".

E non c'è soltanto Tiraboschi. Succede, come al professor Carlo Dell'Aringa dell'Università di Milano, che arrivino minacce di morte in facoltà per la sua partecipazione al Libro bianco del mercato del lavoro.

Numerosi esperti del lavoro arrivati alla politica dal mondo accademico, come Filippo Taddei, devono oggi muoversi con la scorta (Pietro Ichino è un altro).

L'editorialista del Corriere della Sera Angelo Panebianco non è stato il primo docente minacciato all'Università di Bologna. Era già successo al pedagogista Andrea Canevaro, studioso mite e stimato, ma "colpevole" di aver tenuto corsi per le forze dell'ordine.

Al professor Giacomo Cao, docente di Ingegneria all'Università di Cagliari, hanno riempito i muri della sua facoltà di slogan tipo: "Fuori i militari dalle università" e "non lasciare in pace chi vive di guerra". La "colpa" del professor Cao è di essere il presidente del Dass, il Distretto aerospaziale sardo. "Ma hanno individuato un bersaglio assolutamente sbagliato, perché il Distretto aerospaziale sardo non ha attività progettuali legate al mondo militare”.

Il professor Paolo Macry, docente di Storia contemporanea dell’Università Federico II di Napoli, non avrebbe mai pensato che i collettivi avrebbero fatto un blitz per contestargli, come a Panebianco, un articolo sul Corriere della Sera. "A cosa si oppongono gli episodi di conflittualità esplosi ultimamente a Napoli?" - aveva scritto Macry nel Corriere del Mezzogiorno - "A una soluzione del problema dei rifiuti. Alla messa a profitto dell'area di Bagnoli. Allo sviluppo del turismo di massa. Alla costruzione di centrali elettriche. Alle trivellazioni in Campania. Ovvero a ogni ipotesi di accrescimento della ricchezza locale".

Al professor Franco Battaglia, docente di Ingegneria all'Università di Modena, è bastato partecipare una volta alla trasmissione "Anno Zero" di Michele Santoro per ricevere la denigrazione pubblica di Beppe Grillo e diventare un appestato. “La cosa peggiore del linciaggio di Grillo è stato dire che io stavo mentendo perché pagato dalle multinazionali”, dice il docente e prosegue: ”La mia automobile è stata presa a sassate. Viviamo in un clima in cui non puoi esprimere liberamente, davvero, il tuo pensiero". Fra le lettere ricevute dal professor Battaglia, alcune recitano: "Sei una persona indegna di respirare". "Lei è una vergogna per il mondo accademico italiano e per la sua famiglia".

C'è una professoressa che ha pagato caro le proprie idee su Israele. Si tratta di Daniela Santus, che ben prima di Angelo Panebianco ha dovuto tenere lezione protetta dai blindati della polizia in quella grande città laica, fiera del suo stampo democratico e antifascista, che è Torino. La bacheca centrale dell'Università è stata decorata da proteste contro la "Santus sionista", così come lo studio di Panebianco è stato imbrattato con la scritta "Free Palestine" dagli antagonisti. "Sono semplicemente una professoressa di Geografia" racconta Santus al Foglio e aggiunge: “Persino alla presenza del preside stesso Santus fu minacciata di subire "contestazioni" durante le lezioni future se avesse osato continuare a parlare d'Israele. "Alcuni colleghi - pochi per la verità - mi offrirono solidarietà, altri no. Un collega si chiese addirittura come io - docente razzista - potessi insegnare e firmò l'appello per togliere la possibilità di parola agli israeliani presso l'Università di Torino".

Conclude l’articolo di Meotti: “Basterebbe rientrare nei ranghi, non parlare di flessibilità nel mondo del lavoro, scrivere editoriali ideologicamente corretti sul Corriere della Sera, elogiare l'eolico anziché l'atomo, praticare l'equidistanza sul Medio Oriente. Allora, forse, il gregge accademico ritornerebbe mansueto, i colleghi di facoltà nuovamente loquaci e non ci sarebbe più alcun timore quando si scende di bicicletta, sotto casa, mentre si cercano le chiavi. L'ultima cosa che fece Marco Biagi”, prima di essere “giustiziato” a Bologna. (Fonte: G. Meotti, Il Foglio 17-03-16; D. Meghnagi, Il Foglio 19-03-16).