Home 2016 22 marzo SISTEMA UNIVERSITARIO COME SE NON BASTASSE IL DEFINANZIAMENTO E LA RIDUZIONE DEI DOCENTI IN ATTO DA ANNI, C’È CHI INVOCA PER L’UNIVERSITÀ ANCHE UNA RIFORMA ‘DISRUPTIVE’ CHE MANAGERIALIZZI L’UNIVERSITÀ PUBBLICA
COME SE NON BASTASSE IL DEFINANZIAMENTO E LA RIDUZIONE DEI DOCENTI IN ATTO DA ANNI, C’È CHI INVOCA PER L’UNIVERSITÀ ANCHE UNA RIFORMA ‘DISRUPTIVE’ CHE MANAGERIALIZZI L’UNIVERSITÀ PUBBLICA PDF Stampa E-mail

Sulle cause delle fughe, dei successi e dei mancati ritorni c’è poco da girarci intorno: la riforma profonda e la modernizzazione del sistema universitario, l’internazionalizzazione, la liberalizzazione delle rette universitarie, i rapporti con il mondo dell’impresa, i finanziamenti dei privati e un sistema di borse di studio e prestiti non sono mai stati una priorità di nessun governo. E nemmeno del governo Renzi, che ha preferito concentrarsi sulla stabilizzazione dei precari nella scuola primaria e secondaria, ritoccare la governance scolastica e trascurare quasi interamente l’ambito universitario e della ricerca. Eppure, su quest’ultimo fronte ci sarebbe molto da fare: i nostri atenei, salvo pochi istituti privati, non rientrano mai nelle prime posizioni nelle classifiche sulla qualità dell’istruzione accademica, il tasso d’internazionalizzazione dei docenti universitari è ridicolo, gli investimenti in percentuale al pil sono tra i più bassi d’Europa. Aumentare di qualche miliardo la spesa per l’istruzione universitaria e la ricerca avrebbe senso se questa fosse scambiata con una riforma complessiva che introduca maggior concorrenza tra atenei, apra le porte alle partnership con i privati, incentivi gli istituti di credito a finanziare i prestiti d’onore, chiuda sedi, corsi e atenei con performance di scarso livello e sovrapposizione geografica, introduca standard e valutazioni della ricerca accademica e del servizio d’istruzione fornito dai docenti. Certo, si può sempre obiettare che non esistono criteri universali per valutare ricerche e atenei sia dal punto di vista qualitativo sia da quello quantitativo, ed è qui che s’inserisce la decisione politica: va scelto un metodo di valutazione e a questo l’accademia deve adeguarsi come in ogni altro paese sviluppato. I criteri si possono discutere, sentire tutti gli utenti, ma poi vanno fissati standard sulla base delle migliori università del paese al quale gli altri atenei siano costretti ad adeguarsi, pena la riduzione dei fondi e l’accorpamento con altre realtà.
Senza una riforma ‘disruptive’ che managerializzi l’università pubblica italiana non solo la fuga dei ricercatori sarà inevitabile, ma anche il semplice master all’estero restano un’ordinaria necessità e opportunità. (Fonte: L. Castellani, Il Foglio 17-02-16)