Home 2016 20 ottobre RICERCA. VALUTAZIONE DELLA RICERCA UNA VALUTAZIONE MASSIVA DELLA RICERCA, COME QUELLA SVILUPPATA IN ITALIA CON LA VQR O NEL REGNO UNITO CON IL RAE/REF, SERVE DAVVERO?
UNA VALUTAZIONE MASSIVA DELLA RICERCA, COME QUELLA SVILUPPATA IN ITALIA CON LA VQR O NEL REGNO UNITO CON IL RAE/REF, SERVE DAVVERO? PDF Stampa E-mail

Questo intervento di A. Baccini tenta di rispondere alla domanda: ma una valutazione massiva della ricerca, come quella sviluppata in Italia con la VQR o nel Regno Unito con il RAE/REF, serve davvero? Nella prima parte Baccini discute cinque argomenti usati per giustificare esercizi massivi di valutazione ex post della ricerca. Dopo aver mostrato che questi cinque argomenti non sono robusti, tenta di spiegare a che serve davvero la valutazione. E suggerisce di abbandonare la retorica dell’eccellenza a favore di quella della solidità della ricerca. Un primo passo per far crescere il numero dei resistenti nella comunità accademica è un cambio di retorica. Moore et al. (2016) suggeriscono che si debba passare dalla retorica dell’eccellenza a quella della soundness. La ricerca socialmente desiderabile non è la ricerca eccellente, è la ricerca solida. La ricerca solida è la buona ricerca. La ricerca solida: adotta standard descrittivi appropriati; è basata sull’evidenza; è il frutto di comportamenti eticamente corretti da parte dei ricercatori; garantisce la completa riproducibilità dei risultati; garantisce la completa disponibilità pubblica dei dati su cui è basata (open science).
Un primo argomento a favore della valutazione massiva: “così fan tutti”, non è solido. Solo nel Regno Unito ed in Italia sono stati realizzati esercizi di valutazione che potenzialmente valutano con peer review tutto lo staff di ricerca del paese per distribuire risorse. Un secondo argomento è che la valutazione ha indubitabili vantaggi, sicuramente superiori ai costi. Qui la prima domanda da porsi per discutere l’argomento è: ma esistono stime dei benefici e dei costi? Sui costi sappiamo molto. Sui benefici quasi nulla. Stime dei costi sono disponibili sia per l’UK che per l’Italia. In UK ci sono le stime ufficiali di una società specializzata (Technopolis) incaricata dall’HEFCE: il REF è costato circa £246 milioni (Kristine Farla and Paul Simmonds, 2015). In Italia abbiamo tre stime: la prima di Giorgio Sirilli pubblicata su Roars secondo la quale la VQR 2004-2010 sarebbe costata circa 300 milioni di euro. Una seconda di Geuna e Piolatto (2014) che stimano il costo della VQR in 182 milioni di euro, poi ridotti ad un anno di distanza a 71 milioni di euro (Aldo Geuna and Matteo Piolatto, 2016). Direi quindi, sostiene Baccini, che anche il secondo argomento – ci sono indubitabili vantaggi, sicuramente superiori ai costi – cade. Perché ad oggi non esistono stime attendibili dei benefici da confrontare con i costi. Un altro argomento riguarda i fannulloni. La valutazione massiva della ricerca serve a individuare le cosiddette “code basse” cioè i professori che non fanno ricerca e non pubblicano. In base a dati richiamati da Baccini al contribuente italiano scovare un fannullone è costato tra gli 82 mila e i 136 mila, a seconda delle stime dei costi che si preferisce adottare. Non è da trascurare che queste informazioni erano già note o potenzialmente note a costi trascurabili ai nuclei di valutazione e quindi ai rettori, prima della VQR. Alcuni nuclei di valutazione di alcuni atenei pubblicavano già liste di docenti inattivi nella ricerca. (Fonte: A. Baccini, Roars 13-09-16)