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UNIVERSITA’/notizie n. 4 - 2009
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La riforma universitaria in Francia. Argomenti per discutere sulle autonomie degli atenei
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I tre Consigli : CdA, CEVU (Conseil des études et de la vie universitaire) e CS (Conseil scientifique)

Nel quadro di un rafforzamento della governance, il Consiglio di amministrazione diventa l’organo strategico (art. 7 del cap. III). Ristretto a 20-30 membri, rappresentanti equamente l’insieme della comunità universitaria, è più aperto all’esterno con 7-8 personalità tra cui 2-3 rappresentanti delle comunità territoriali, di cui uno del consiglio regionale e almeno un imprenditore o un quadro dirigente d’impresa. I docenti - enseignants-chercheurs (professeurs e maîtres de conférence) - maggioritari in seno al CdA (da 8 a 14 membri), sono eletti su liste che tengono conto di tutti i grandi settori disciplinari, con possibilità di associare le liste attorno a un comune progetto. Il CdA comprende anche 3-5 rappresentanti degli studenti e 2-3 rappresentanti del personale tecnico-amministrativo. Il CdA assume a maggioranza assoluta deliberazioni statutarie, è competente per la creazione delle Unità di formazione e di ricerca (UFR) e propone la creazione di scuole e istituti interni all’università.
Una migliore articolazione dei tre Consigli (CdA, CS e CEVU), che si rinnovano contemporaneamente, è tesa a rafforzare la coesione delle équipes dirigenziali. Viene estesa la competenza del CEVU e del CS diventati organi consultivi che possono formulare voti. Il CEVU è consultato sulla valutazione degli insegnamenti e comprende uno studente come vice-presidente incaricato dei problemi della vita studentesca in rapporto con i Centri regionali delle opere universitarie e scolari (CROUS). Il CS, in cui è rafforzata la rappresentanza degli studenti del terzo ciclo (dottorato), esprime un parere sulla scelta delle personalità scientifiche componenti i comitati di selezione incaricati di reclutare i docenti (enseignants-chercheurs), fornisce un parere sull’attribuzione dei premi d’inquadramento dottorale e di ricerca (PEDR) e assicura il legame tra insegnamento e ricerca a tutti i livelli della formazione. Ad eccezione del presidente dell’università, che presiede tutti e tre i Consigli, nessun membro può far parte di più di un Consiglio.
In ogni ateneo pubblico viene inoltre creato un Comitato tecnico paritario (CTP), luogo di dialogo sociale, che è consultato sulla politica di gestione delle risorse umane dell’ateneo e ogni anno visiona un bilancio della politica sociale presentato dall’ateneo.

Il presidente

Il presidente (il nostro rettore) ha un mandato di 4 anni rinnovabile una sola volta, è eletto a maggioranza assoluta dai membri eletti del CdA tra i docenti (professori e maîtres de conférences), i ricercatori, i docenti anche esterni all’ateneo e stranieri. Presiede i tre Consigli, nomina le personalità esterne del CdA (esclusi i rappresentanti delle comunità territoriali), previo consenso dei membri eletti del CdA.
Il presidente ha diritto di veto per opporsi in maniera motivata alle decisioni degli organi che si pronunciano sulla scelta dei docenti, con l’eccezione della prima assegnazione dei docenti reclutati tramite concorso nazionale di aggregazione per l’insegnamento superiore. La legge lo autorizza a reclutare studenti per attività di tutorato o di servizio in biblioteca. Inoltre è responsabile della sicurezza interna e prepara e applica il contratto pluriennale dell’università.

Il budget. Il contratto pluriennale. La gestione delle risorse. Il reclutamento. Le fondazioni

In previsione delle nuove responsabilità in materia di budget e di gestione delle risorse, a richiesta, e comunque entro cinque anni dalla pubblicazione della legge di riforma, tutte le università avranno a disposizione un budget globale definito in base a un contratto pluriennale di partenariato Stato - università. Il contratto lega le università e lo Stato con la definizione degli orientamenti strategici dell’università. Diventa uno strumento di gestione pluriennale che rafforza la sua autonomia grazie alla globalizzazione delle risorse, alla previsione quadriennale dei fondi disponibili e alla gestione delle risorse umane e della massa salariale. Prevede inoltre metodi di valutazione del personale e fissa programmi di reclutamento di docenti o ricercatori di provenienza esterna. A posteriori dovrà intervenire una valutazione dell’esecuzione del contratto.
Nel quadro delle nuove responsabilità nella gestione delle risorse umane, il CdA potrà modulare gli impegni di servizio dei docenti (insegnamento, ricerca, altre mansioni amministrative), attribuire premi al personale, creare dispositivi per migliorare la retribuzione del personale più meritevole, reclutare a tempo determinato o indeterminato personale tecnico o amministrativo di categoria A o personale per assicurare funzioni di insegnamento e/o di ricerca. Sulla modulazione degli obblighi di servizio dei docenti, la legge non entra in dettagli, ma potrebbe essere materia di un successivo decreto di applicazione.
Inoltre la legge autorizza lo Stato a trasferire alle università che ne fanno domanda la piena proprietà dei beni mobili e immobili messi a loro disposizione dallo Stato.
Nel punto chiave della selezione dei docenti, la nuova legge insedia un Comitato di selezione che dovrebbe attuare un reclutamento dei docenti più rapido, più aperto e più trasparente, senza pregiudicare le garanzie scientifiche idonee all’esercizio della funzione docente. Il Comitato è creato da un CdA ristretto ai docenti (enseignants-chercheurs) e al personale assimilato. E’ composto da docenti e personale assimilato, tutti di rango almeno pari a quello del candidato da reclutare e scelti fra i membri della disciplina pertinente dietro segnalazione del CS. Il Comitato è valido solo se i suoi membri sono almeno per metà esterni all’ateneo.
Per diversificare le risorse, rafforzare le relazioni delle università con il loro retroterra economico e attivare nuove fonti di finanziamento, la legge istituisce due nuovi tipi di fondazioni: le fondazioni universitarie, senza personalità morale, e le fondazioni partenariali, che riuniscono le università e altre istituzioni pubbliche e private interessate alle attività universitarie di formazione e ricerca. La legge incoraggia il mecenatismo a favore delle università con riduzioni fiscali.
In ogni università è obbligatorio istituire un ufficio per l’inserimento professionale degli studenti. Nell’iter d’approvazione punti qualificanti originali della riforma sono stati stralciati per forti pressioni sindacali e studentesche. E’ stata eliminata la selezione a numero chiuso per l’iscrizione al Master (II livello), la liberalizzazione delle tasse d’iscrizione e la possibilità di scegliere il presidente d’università anche tra personalità non accademiche.
Valérie Pécresse ha reso note in primavera le prime 20 università selezionate che beneficeranno, a partire dal gennaio 2009, delle quattro basilari competenze concesse in forza del passaggio all’autonomia: gestione contabile e finanziaria, delle risorse umane, dei servizi d’informazione e gestione immobiliare. A un anno dal varo della riforma tutte le università hanno già rinnovato i CdA secondo le nuove norme.

Riflessioni e dibattiti sulla riforma

Una lista di opinioni autorevoli espresse a caldo dopo il varo della riforma consente riflessioni di un certo rilievo anche in Italia dove si attende in prospettiva la riforma della governance degli atenei.
Diverse opinioni critiche riguardano il nuovo sistema del  reclutamento dei docenti, che non eliminerebbe il localismo, ritenuto piuttosto promosso che contrastato dai CdA, mentre il diritto di veto dei presidenti d’ateneo sulle assunzioni non darebbe sufficienti garanzie. Meglio proibire in maniera generalizzata il reclutamento in sede dei candidati locali e conferire per contro ai presidenti i mezzi per attirare o trattenere i migliori nelle strutture d’eccellenza della loro università. Su Le Figaro, B. Salanié, professore alla Columbia university, ritiene invece che, alla luce della sua esperienza del sistema universitario americano, l’autonomia nel reclutamento dei docenti e degli amministratori debba essere totale al fine di migliorare la qualità degli atenei con la conseguente emulazione positiva.
Un collettivo di studenti e medici lancia un allarme: “Qui veut la peau de la médecine française?”. Il presidente e alcuni membri della conferenza dei presidi delle facoltà di medicina temono che la riforma ne minacci l’autonomia e il riconoscimento della specificità, che oltre alla formazione e alla ricerca comporta una missione sanitaria.
Su Liberation J.-F Spitz, professore alla Sorbonne, parla di “egalitarisme en trompe l'œil” dato che le università, senza aumentare le tasse d’iscrizione e senza praticare la selezione all’ingresso, non potranno garantire la professionalizzazione e la ricerca. Sullo stesso quotidiano J. Fabri parla di una “regressione feudale dell’insegnamento superiore” essendo favorito uno sviluppo ineguale degli atenei (a “plusieurs vitesses”, o almeno a due velocità) e soprattutto la disuguaglianza tra i grandi atenei e gli altri. Ma, si obietta, il sistema a due velocità esiste già in Francia tra le Grandes Écoles, che beneficiano di grande autonomia, selezionano all’ingresso gli studenti e fissano liberamente le tasse d’iscrizione, e le università che sono al traino. Anche le università sono già diverse, ma le ineguaglianze dovrebbero ridursi con la riforma che prevede l’autonomia di tutte le università nel giro di cinque anni.
Si spera che una maggiore autonomia inciti gli atenei ad attirare migliori studenti e ricercatori. Comunque lo Stato, concedendo una maggiore autonomia, dovrebbe dotarsi di mezzi di controllo e valutazione finanziaria più performanti alla scadenza di ogni contratto pluriennale d’ateneo, ma questo il testo della riforma non lo precisa. Solo sul piano pedagogico e scientifico la valutazione è in via di attivazione con l’AERS (Agence de l'évaluation de la recherche et de l'enseignement supérieur). Quando lo Stato non gestisce più le università, deve diventare il garante del loro buon funzionamento con procedure di valutazione che conducano all’attribuzione di fondi supplementari ma anche alla ristrutturazione o alla chiusura. Senza questo meccanismo, la trasposizione al settore pubblico dei metodi di gestione del privato porta a una miscela perversa di autonomia e irresponsabilità. Infatti l’autonomia non significa per le università la privatizzazione, come alcuni sostengono, perché è sempre lo Stato che fissa le regole principali specie del finanziamento. Anche negli Stati Uniti, dove esistono numerose università private, in maggioranza restano pubbliche nonostante una forte autonomia del loro funzionamento.
Un vantaggio delle università anglosassoni è che mettono fin dall’inizio gli studenti a contatto con la ricerca, ma per fare questo occorrono, ad esempio per le scienze umane, delle biblioteche, ma in Francia sono scarse e con posti insufficienti, per non parlare degli orari d’apertura assai limitati, che la riforma intende prolungare.
Su Le Figaro Y. Laszlo e J.-L. Harouel deplorano l’abbandono di una governance orizzontale a favore di una gestione verticale, centralizzata. Sarebbe stato meglio restituire potere alle vecchie facoltà e istituire una selezione all’ingresso al primo anno che avrebbe messo le università ad armi pari con le Grandes Écoles. Ma alcuni non ritengono che questa sia  davvero la vocazione delle università.
Sui rafforzati poteri del presidente vari commentatori, specialmente giuristi, denunciano la “dictature du président”, “les dangers de l’hyperprésidentialisme” e la “hypercentralisation des pouvoirs”, preferendo una governance collegiale degli atenei. Secondo F. Gaudu della Sorbonne, la concentrazione dei poteri nelle mani del presidente e la riduzione dei membri del CdA potrebbe minacciare la sopravvivenza di certe discipline. Altri tuttavia vedono nella riforma un rafforzamento della legittimità democratica del presidente (eletto da tutti i membri eletti del CdA), un presidente promotore di progetti, animatore di equipe e giudicato dai suoi stessi risultati. Peraltro il diritto di veto del presidente sul reclutamento esisteva già nelle Scuole Politecniche e negli Istituti, segnatamente nello IUT (Institut universitaire de technologie).
Su Le Point, J. Marseilie si è domandato se l’autonomia delle università e il potere rinforzato dei loro presidenti possano far uscire il sistema dal suo stato attuale di miseria. La risposta: « bien sur que non! » E neanche i pochi miliardi promessi « peuvent faire l’affaire ».  Per adeguare l’università francese alle norme standard europee occorrerebbe dedicarle più di 10 miliardi di euro l’anno in aggiunta a quelli attualmente stanziati.

Confronti tra riforme incompiute

In Francia l’università acquista con la riforma fondi supplementari (5 miliardi di euro in cinque anni) e un’autonomia gestionale che tuttavia non è stata estesa a due tabù, la tassa d’iscrizione (resta a discrezione dello Stato e assai bassa) e la selezione all’ingresso (non sarà possibile il numero chiuso).
In Italia, che peraltro non ha la risorsa qualificante delle Grandes Écoles, si consolida nelle università la selezione all’ingresso mentre l’autonomia non guadagna finanziariamente per il blocco delle tasse d’iscrizione (il loro gettito non può superare il 20% del Fondo di finanziamento ordinario, Ffo) e anzi perde in quanto il governo riduce in cinque anni il Ffo del 19,7%, taglio in parte compensato dal sostanziale blocco del turn-over (si potrà assumere solo il 20% delle cessazioni dal servizio), dalla soppressione per un anno di uno scatto di anzianità del personale docente, dal congelamento di una parte del salario accessorio per il personale non docente e dalla riduzione degli assetti organizzativi di almeno il 10% già entro il 2008 (DL 112/08). Anche nell’ipotesi che tali misure abbattano le spese del 10%, resta comunque un taglio rilevante del finanziamento complessivo. Consideriamo un’università con il bilancio in pareggio, che riceveva 100 dal governo e 20 dalle tasse di iscrizione. Riducendo il contributo dello Stato a 80, il gettito delle tasse deve ridursi a 16 (il 20% di 80), con una riduzione complessiva delle entrate pari a 24, e allora se i risparmi nel costo del personale sono pari a 10, il taglio effettivo è di 14 (D. Checchi e T. Jappelli, lavoceinfo 02-09-08).
La possibilità di trasformare gli atenei in Fondazioni, lanciata sia in Francia che in Italia, dovrebbe facilitare la raccolta di contributi e donazioni da parte dei privati, anche in vista delle relative agevolazioni fiscali previste dalla legge. Comunque non verrebbe meno il sistema di finanziamento pubblico, che convoglia attualmente alle università la parte più consistente delle risorse. Tuttavia risulta che le fondazioni siano scarsamente capaci, una volta istituite, di attrarre risorse da imprese e  privati, come attestano dati dagli Stati Uniti. Berkeley, università pubblica, ha ricevuto nel 2003 contributi statali pari al 38%, tasse studenti pari al 13%, e contributi di privati per l’11%. Nello stesso anno Harvard, l’università più ricca, ha ricevuto contributi di privati solo per il 7%.
Le nuove misure legislative italiane e francesi che incidono sull’università restano incompiute, entrambe invischiate da una residuale demagogia. La riformata governance degli atenei francesi potrebbe essere soddisfacente anche in Italia a patto di togliere i vincoli alle tasse d’iscrizione e di incidere pesantemente nella distribuzione del Ffo in base a controlli severi regolari e neutrali e non invece riducendolo indiscriminatamente a tutti gli atenei. Il numero chiuso all’ingresso e l’adeguamento delle tasse d’iscrizione sarebbero altrettanto necessari in Francia per rilanciare la competitività dei suoi atenei sul piano della qualità scientifica e didattica.
Prof. Paolo Stefano Marcato
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna