Home 2010 15 Aprile Riflessioni di un ricercatore dell’infn sulla ricerca e sulla riforma universitaria
Riflessioni di un ricercatore dell’infn sulla ricerca e sulla riforma universitaria PDF Stampa E-mail
Entrare nel mondo della ricerca non è una cosa facile. Il percorso è lungo e duro, ci vuole molto impegno e per molto tempo. Non è qualcosa in cui sempre si riesce. Su cento persone che cercano di fare il ricercatore forse ci riusciranno dieci o venti, ma la cosa più grave in questi ultimi anni è stata l’impossibilità di pianificare la situazione da parte degli enti e delle università, perché cambiavano continuamente le leggi, e quindi la difficoltà di dire con chiarezza ai giovani com’era la situazione e quello che li attendeva. Ad esempio, noi quest’anno non sappiamo quanti assegni di ricerca potremo dare. E gli assegni sono le prime forme di contratto concesse dopo il dottorato. Uno più o meno può cercare di quantificare la situazione solo per quest’anno, ma non per l’anno prossimo, e tanto meno per l’anno successivo, quindi programmare la situazione a tre o cinque anni, come andrebbe fatto, è estremamente difficile. Tutto ciò pesa ovviamente sui giovani che cercano di inserirsi in questo mondo. Non è un luogo comune che in Italia non si investe abbastanza nella ricerca. I numeri parlano meglio di qualsiasi altra cosa, basta vedere la percentuale del Pil riguardante l’investimento nella ricerca degli altri paesi. Siamo all’ultimo posto, in qualsiasi statistica, e non sto parlando solo di Stati Uniti e Giappone, anche Singapore è più avanti di noi.
Il punto è che è impossibile pensare di fare una riforma che riguardi un solo punto, bisogna fare una riforma organica. Non si può pensare di risolvere tutti i problemi dell’università, cambiando il modo di fare i concorsi o aumentando i fondi. E’ necessario fare un discorso organico, in cui nel mondo dell’università si mettono al centro gli studenti, fornendo loro i migliori insegnamenti possibili, favorendo il diritto allo studio, facendo in modo che ci sia un giusto rapporto tra il numero di studenti e di docenti, e riflettendo se servono così tante piccole università, o se invece non sarebbe meglio migliorare la qualità della didattica. Tutto questo va fatto insieme a un uso mirato dei fondi, e non come avviene adesso, con un taglio piatto su tutti i dipartimenti, senza distinzione, perché questo rende poi difficile capire chi i fondi li usano bene e chi no.
Serve un intervento a tutto campo, che riguardi l’attività di didattica, quella di ricerca, il modo in cui sono fatti i concorsi, e la programmazione, che deve essere pluriennale, perché non si può pensare di risolvere la situazione in un anno o due con la bacchetta magica. Il progetto dovrebbe essere per dieci anni, così come la gestione dei fondi, tenendo presente cosa si vuole cambiare in ogni singola parte. (M. Serra, Ezrome.it 08-04-2010)