Home 2010 03 Maggio
03 Maggio
Una strategia vaga per la riforma PDF Stampa E-mail

Della riforma Gelmini, di quanto sia timida e lasci di fatto inalterati gli equilibri – o gli squilibri – dell’Università, con l’aggiunta dei sanguinosi tagli strutturali al bilancio degli atenei praticati dalla Legge 133, la finanziaria d’agosto di Tremonti, abbiamo già discusso ampiamente. Una non riforma. La milionesima, a ben vedere, in cui la bella favola del merito nasconde le mille magagne di Università a cui si toglie l’ossigeno per poi dire che spendono troppo in salari.

Allora vai a vedere le altre proposte sul tappeto, per scoprire che il Partito Democratico inizierà il 10 maggio un viaggio che toccherà almeno 12 università italiane, partenza da Napoli. Un giro d’Italia per portare le sue proposte di cambiamento.

Perché il PD ha elaborato una strategia, che però più vaga di così non si riesce a immaginare. La espone dopo una severa analisi dello stato dell’Università, in cui non risparmia critiche alla riforma Gelmini. L’analisi è precisa, puntuale, documentata, anche se un tantino sintetica. Ma poi, quando si arriva alla voce “Le proposte del PD” si trova poco, al di là dell’intento – lodevole, ma velleitario, senza un piano serio e dettagliato – di portare le risorse per la ricerca dal miserabile 0,8 per cento del PIL di oggi a un più ragionevole 1,3 per cento (che è comunque sempre poco).

Visti i contenuti della proposta, speriamo sinceramente che il PD nelle università ci vada soprattutto per ascoltare la voce di docenti, ricercatori e studenti, per sentire le esigenze di un mondo che, a occhio e croce, probabilmente si sente ormai privato di un serio referente politico in Parlamento. In modo che poi le proposte ne escano più articolate, e più vicine ai meccanismi di paesi in cui l’Università e la ricerca funzionano meglio che da noi. Lo diciamo da anni: basterebbe copiare, per fare un po’ meglio di così, senza pretendere di essere troppo originali. Perché quando siamo originali, in Italia, andiamo a finire con i porcellum…Se la voce dell’Università troverà ascolto – magari portando a presentare proposte che non accontentano proprio tutti, ma la politica deve tornare a essere anche impopolare, quando è necessario – allora sarà già un piccolo passo. Altrimenti questo viaggio rischia di essere senza meta, senza rotta e, forse, senza nemmeno un timoniere. (M. Cattaneo, Le Scienze Blog 23-04-2010)
 
Il presidente del CUN sul rinovamento del sistema universitario PDF Stampa E-mail

Proprio nei peggiori momenti di crisi e di pessimismo sul futuro possono maturare piccole, tacite rivoluzioni che appartengono più alla sfera del fare che a quella del dire: è il caso dell’autoriforma silenziosa che ha caratterizzato, negli ultimi mesi, la vita dell’università italiana. Il mondo accademico, attraverso l’opera del suo organo di rappresentanza, il Consiglio universitario nazionale (CUN), ha compiuto, infatti, una serie di micro-rivoluzioni che rappresentano la migliore risposta ad una campagna mediatica negativa di inusitata violenza, intesa a dipingere la comunità universitaria italiana come la sentina dei peggiori vizi nazionali.

Senza voler negare la realtà di una crisi che investe l’università, alla pari del resto del Paese, si è spesso avuta la sensazione che, invece di quantificare e qualificare la reale consistenza di alcuni fenomeni censurabili e di mettere in campo gli opportuni provvedimenti normativi per limitare gli errori e gli abusi, si sia voluto colpire in modo indiscriminato tutto il mondo universitario: quasi a giustificare, con questo, politiche punitive di esclusiva riduzione di spesa. Atteggiamento di estrema miopia perché la ricerca, insieme all’alta formazione, sono fra le istanze più avanzate del nostro Paese nello scenario della globalizzazione, che trova proprio nella competizione tra le istituzioni universitarie uno dei suoi momenti più intensi.

Al di là di superficiali ottimismi, l’affermazione che l’università italiana è oggetto di una cattiva stampa troppo spesso immeritata trova tangibile riscontro nel raffronto tra gli elevati indici di produttività scientifica dei nostri ricercatori e dei settori di ricerca più avanzati e la non elevata quantità di finanziamenti disponibili per la ricerca. Altrettanto vero è che, grazie alla nostra antichissima tradizione, altri settori scientifici, come quelli delle scienze umane, hanno la possibilità di esprimere invidiabili unicità. Purtroppo, le nostre università sono invece perdenti nei ranking internazionali per i dati derivanti dagli indicatori di qualità organizzativa e di internazionalizzazione della didattica, ma non certo per la qualità della scienza prodotta…La comunità accademica italiana ha suggerito in quale modo il rinnovamento del sistema universitario possa realmente avviarsi sulla strada della valutazione, della trasparenza e della internazionalizzazione. Questa serie di azioni piccole e grandi di rinnovamento ha posto le basi perché la riforma elaborata dalla politica s’innesti su proposte condivise ed accettate dal mondo universitario. L’esperienza passata insegna che un colloquio costante tra la politica ed il mondo accademico è assolutamente necessario perché non si ripetano gli errori del passato (testo completo su UNIVERSITA’ PRONTA ALLA RIFORMA di A. Lenzi, Paradoxa 1-2010)
 
Voci dissonanti sul problema dell’università PDF Stampa E-mail
L’università in Italia ha un problema, lo sappiamo tutti. Peccato però che, quando si tratta di dire quale sia, si leva un coro di voci dissonanti alimentate dalla percezione parziale che settori diversi della società e della classe dirigente hanno del sistema universitario, del suo stato e del suo ruolo. La classe accademica lamenta un cronico e insostenibile sotto-finanziamento, il Ministero dell’Economia e delle Finanze denuncia lo sperpero di risorse e attua un’inesorabile politica di tagli, una parte significativa dell’opinione pubblica si accanisce contro i “baroni”, incoraggiata dai media, che dedicano attenzione all’università solo in occasione degli scandali, i precari della ricerca invocano meritocrazia e concorsi trasparenti – ma talvolta, più semplicemente, la stabilizzazione –, la Confindustria denuncia lo scarso raccordo tra mondo accademico e mondo del lavoro, gli studenti chiedono alloggi, mense, borse di studio. Questo coro cacofonico tradisce l’incapacità della classe accademica di interagire con la società e l’assoluta mancanza di professionalità del giornalismo scientifico, che impediscono ai cittadini di rendersi conto che conoscenza e ricerca sono i pilastri del benessere e dello sviluppo di un Paese. Nel disinteresse dell’opinione pubblica affonda poi le sue radici l’atteggiamento di indifferenza e miopia che la classe politica italiana dimostra nei confronti dei problemi dell’università e della ricerca. In poco più di un decennio i governi che si sono succeduti alla guida del Paese hanno partorito, in stretta alternanza, altrettante riforme che hanno prodotto un sostanziale allineamento – o forse un appiattimento – dei corsi di studio a presunti standard internazionali (il 3+2 di berlingueriana memoria) ovvero effetti concreti di scarsa rilevanza (il “molto rumore per nulla” della riforma Moratti) o il nulla sic et simpliciter (la clamorosa non-riforma di Mussi). Di riforma in riforma, non si è registrato alcun sensibile miglioramento delle magagne del sistema accademico italiano, e i coristi hanno continuato, in contrappunto, a intrecciare le loro litanie. È ora in arrivo l’ennesimo intervento legislativo sull’università: il DDL Gelmini, sul quale è in corso la discussione al Senato. (Lucacoscioni.it 15-04-2010)
 
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