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20 Luglio
Una tassa post laurea in Gran Bretagna PDF Stampa E-mail

Vince Cable, il ministro libdem per l’università e l’impresa, fedele al programa elettorale del suo partito e confortato dalle statistiche che mostrano un calo degli studenti delle famiglie meno abbienti, ha annunciato la volontà di abolire le tasse di iscrizione (che comunque venivano finanziate tramite mutui agevolati, che gli studenti si impegnavano a ripagare in futuro quando il loro salario avrebbe superato un determinato livello) e di sostituirle con una tassa per i laureati, che graverebbe sui futuri assunti in base al loro reddito effettivo. «Non è giusto, ha spiegato Cable, che un insegnate paghi per la sua formazione universitaria quanto un chirurgo o un avvocato, dato che i benefici che ne ricavano da un punto di vista economico sono notevolmente diversi». La necessità di ripensare il sistema di finanziamento delle università, specialmente alla luce della crisi economica, dei necessari tagli alla spesa pubblica e del previsto aumento delle richieste di iscrizione, era già stata considerata dal precedente governo laburista. La proposta di Cable ha già ottenuto positivi riscontri da parte dei sindacati studenteschi e dei docenti universitari, «purché – hanno spiegato questi ultimi – sia davvero progressiva e non sia soltanto un sistema nominalistico di spostare il momento in cui il debito deve essere ripagato». il sistema di finanziamento delle università ormai va radicalmente ripensato, dato che in una fase di contenimento della spesa pubblica e di crescente domanda, bisogna trovare nuove forme di finanziamento per permettere al sistema formativo inglese di rimanere competitivo. (L. Pietragoli, europaquotidiano 15-07-2010)

 
Cambia la governance negli atenei PDF Stampa E-mail
Nel DDL 1905 di riforma dell’università una novità rilevante è il mutamento del sistema di governance degli Atenei, modificando sensibilmente il meccanismo di composizione del Consiglio di Amministrazione e del Senato Accademico. Soprattutto per il primo si prevede di sottrarlo all'attuale composizione di tipo corporativo-locale (un po' di rappresentanti per ognuna delle componenti docenti e, in parte, amministrative interne a ciascuna sede) per farne un reale organo di governo composto da forze esterne. Ciò potrebbe consentire che il Cda anziché più o meno sovrintendere alla spartizione delle risorse fra le componenti (per non dire le lobby) dell'ateneo, potesse operare scelte e decidere davvero dove sia meglio indirizzare gli sforzi del sistema, al di là di ciò che conviene a quelli che potrebbero essere gli interessi miopi e corporativi dei suoi membri. Ovviamente questo presuppone che si scelgano per il Cda membri non solo formalmente "esterni", ma davvero all'altezza del compito: e qui ne abbiamo viste troppe per mettere la mano sul fuoco sul funzionamento della riforma secondo gli intendimenti che si vorrebbero proporre. (P. Pombeni, Il Messagero 17-06-2010)
 
La nuova governance degli atenei secondo il Ministro Gelmini PDF Stampa E-mail
Gelmini: "Il governo degli Atenei risulterà profondamente modificato nel senso di un deciso rafforzamento del consiglio di amministrazione, che si porrà quale organo di governo strategico-finanziario del sistema e, accanto al quale, permarranno il senato accademico, con competenze relative a didattica e ricerca ed avente una generale funzione di proposta e stimolo, ed il rettore, rappresentante legale dell’Università e unica figura che, rispetto alle altre, non vede di molto alterato il proprio ruolo rispetto all’attuale. Anche le articolazioni interne delle Università subiranno decisi cambiamenti: i Dipartimenti diventeranno il centro nevralgico delle attività di ricerca e didattica e le Facoltà strutture di raccordo ad istituzione facoltativa. Rispetto al quadro delineato nella legge, sarà importante verificare quanto effettivamente sarà possibile integrare ed adattare il disposto ai singoli contesti locali attraverso l’approvazione dei nuovi statuti di autonomia che, pertanto, rivestiranno un ruolo cruciale nella concreta definizione dei definitivi assetti di governance dei vari Atenei”. (Libero 01-07-2010)
 
Prigioniere dell'endemico vizio burocratico Università e Magistratura PDF Stampa E-mail

In alcuni scritti all'inizio degli anni Settanta avevo fatto un'analisi comparata su diversi tipi di strutture organizzative concentrando l'attenzione sui due "estremi": da un lato le strutture impostate su norme e procedure e controllate sugli adempimenti e, dall'altro lato, quelle che operavano per obiettivi ed erano controllate sui risultati. In particolare sui modelli del primo tipo, tipicamente burocratici, veniva fissata l'attenzione per verificare l'esistenza di condizioni tali da portare ad una "degenerazione strutturale" del modello, indipendente quindi da qualsiasi personalizzazione. Come esempi un poco anomali venivano prese in considerazione due organizzazioni che normalmente non sono classificate fra le burocrazie ma che, al contrario, ne fanno parte a buon diritto: l'università e la magistratura. La magistratura può essere considerata tale in modo difficilmente controvertibile, mentre l'università lo è in Italia a causa dell'insieme di leggi, regolamenti, procedure che la governano. Dall'analisi svolta si evince che entrambe queste organizzazioni possiedono, all'interno, germi tali da permettere o, addirittura, creare possibili degenerazioni. Nel caso dell'università è proprio l'esistenza di norme "cogenti" che svia l'attenzione dalle funzioni primarie: formazione e ricerca. È sufficiente, infatti, rispettare rigorosamente, almeno da un punto di vista formale, le regole, per essere valutati positivamente: le regole spaziano per altro da aspetti banali (fino a pochissimo tempo fa la commissione d'esame doveva essere costituita da tre componenti, da cui il voto in trentesimi: obbligo pressoché mai rispettato) fino all'essenza stessa del progetto didattico (corsi di laurea e programmi di esame vagliati da apposite istituzioni).

Non parliamo poi di finanziamenti alla ricerca (basti pensare alle regole relative alla costituzione dei cosiddetti "centri di eccellenza") in cui gli adempimenti burocratici ed amministrativi apparivano essere il principale strumento di controllo ed in cui molto spesso, saper scrivere "bene" il progetto di ricerca faceva (o fa ancora?) premio sul contenuto del progetto stesso. Se poi i controllori fanno parte della stessa corporazione (e, addirittura, come il Consiglio Universitario Nazionale sono eletti all'interno dell'accademia) la possibilità di degenerazione aumenta. Non vogliamo infierire parlando di concorsi e del modo in cui è stato gestito da più parti il sistema dei crediti o organizzato il "doppio livello" (detto 3+2). L'obiettivo è sparito completamente: è questa la degenerazione. Tentativi apprezzabili vengono fatti e, nella fattispecie, possono essere considerati sensati, ma sono impostati sempre secondo gli stessi criteri: non ci possono essere più di un tot di facoltà, le sedi "piccole" vanno accorpate e così via e, nel contempo, rimangono in vigore molti criteri vecchi e molti organismi di controllo. Si parla di meritocrazia, ma il merito si può valutare solamente sul raggiungimento dei risultati, non sul rispetto delle regole. Le strutture basate sulle regole e sul controllo degli adempimenti hanno come riferimento e obiettivo istituzionale l'uniformità di comportamento e non il "merito" che impone una diversità di comportamento: ottengo migliori risultati, nella maggior parte dei casi, quando mi comporto in modo diverso dagli altri. La magistratura, al contrario dell'università, ha proprio come fattore distintivo la più rigida uniformità possibile di comportamento: il giudizio su un fatto dovrebbe essere il più possibile indipendente da chi giudica (o no?). Dove si annida allora la possibile degenerazione? Per rispondere a questa domanda si devono esplorare se esistono e quali sono gli spazi di "decisionalità" del burocrate. Forse non piacerà a qualche magistrato essere definito burocrate, eppure uno dei fattori che connotano in modo inequivocabile la burocrazia è la modalità di sviluppo della carriera. La carriera del burocrate deve basarsi sull'anzianità come elemento prevalente, se non addirittura unico, modificabile soltanto in termini negativi, dalle eventuali sanzioni (negative) subite nel corso della carriera perché alcuni obblighi non sono stati rispettati. E chi potrebbe negare che la carriera dei magistrati si sviluppa prevalentemente per anzianità?

Gli antidoti Ignorati

I principali ambiti su cui si esercita la decisionalità del burocrate sono: l'interpretazione della norma, la valutazione della fattispecie concreta e, soprattutto, nel caso in cui le "pratiche" da affrontare eccedano la capacità effettiva di lavoro, la selezione della priorità secondo cui affrontare le pratiche stesse. Mentre sui primi due aspetti l'analisi deve essere fatta in modo approfondito ed eccede le competenze di chi scrive, il terzo punto è molto semplice da affrontare. La "obbligatorietà" prescritta porta ad un inevitabile sovraccarico di lavoro, eccedente le capacità per cui è questo, a mio avviso, il punto più debole di tutta l'organizzazione, soprattutto perché l'organo che può eventualmente valutare il comportamento del singolo è totalmente "interno" alla corporazione. La degenerazione è quindi nella totale "discrezionalità incontrollata ed irresponsabile". A queste analisi svolte a metà degli anni Settanta si accompagnava anche l'individuazione di alcuni antidoti per combattere i virus che potenzialmente potevano attaccare l'organismo. Nel caso dell'università si trattava di muoversi verso un'elevata autonomia, includendo anche l'eliminazione del valore legale del titolo, con un sistema di valutazione dei risultati, nella didattica e nella ricerca, per poter accedere alla distribuzione di risorse pubbliche. Nel caso della magistratura occorreva un adeguato e forte sistema di controllo "terzo" e, addirittura, "politico" per quanto concerneva la priorità da attribuire alle varie fattispecie di reati da giudicare, in quanto è "politico" il giudizio su ciò che deve essere ritenuto maggiormente pericoloso per la comunità e non può essere demandato al singolo, ancorché spirito eletto. Mi sembra che, in entrambi i casi, si sia andati nella direzione opposta. Che non sia anche questo un motivo della crisi di entrambi gli istituti? (A. De Maio, Tempi 23-06-2010)
 
Quali sono le migliori facoltà universitarie? PDF Stampa E-mail
Quali sono le migliori facoltà universitarie? E quelle che offrono maggiori possibilità di sbocchi lavorativi? Quasi tutti gli studenti dell'ultimo anno delle medie superiori e le loro famiglie si pongono questo fondamentale problema. Che non è, va detto subito, di facile soluzione. Non esiste, ad esempio alcun "rating" pubblico delle facoltà, e le uniche rilevazioni di questo tipo riguardano l'attività di ricerca. Ma i giovani non sono tanto interessati a dove si fa più ricerca bensì a dove si studia meglio e più proficuamente. Per questo tipo di giudizio bisogna ricorrere a indagini fatte dai privati. La più importante è quella realizzata da Censis Servizi insieme a Somedia per Repubblica. Ogni anno, in estate, viene pubblicatala "Grande Guida Università". La prossima edizione sarà l'undicesima, e quindi ha già un buon background, utile per migliorare la messa a punto dei parametri presi in considerazione, che vanno affinati continuamente. Intanto c'è da dire che la Guida di Repubblica prende soprattutto in esame le singole facoltà, che sono quelle che interessano. Il giudizio sugli Atenei si trova ma è limitato ai servizi che vi si trovano (ristorazione, accoglienza dei fuori sede, ecc.) e non implica un giudizio complessivo sull'Università. Giudizi invece più motivati, sulla base di quattro parametri, si trovano sulle singole facoltà. Le quali vengono giudicate secondo la "produttività", la "didattica", la "ricerca" e i "rapporti internazionali": A ciascuno di questi fattori viene attribuito un punteggio che dà luogo anche a un voto globale. Ognuno di questi parametri è distinto in vari sub-indici. Si tratta di fatti oggettivi che danno un quadro analitico e sintetico delle varie facoltà sparse per la penisola. Le facoltà che hanno un punteggio più alto dovrebbero quindi essere le migliori. Anche se è possibile preferire alcune facoltà con specifico riferimento a uno solo dei sub-indici. Facciamo un esempio: una facoltà di Economia può avere un rating complessivamente più basso di un'altra ma avere un'eccellenza nei "rapporti con l'estero", a cui alcuni studenti possono attribuire un'importanza maggiore. Stabilito quindi con un certo grado di approssimazione quali possono essere le migliori facoltà materia per materia a livello nazionale, ognuno farà i suoi conti considerando anche il "fattore vicinanza" che nella maggior parte dei casi svolge una funziona decisiva. La seconda parte della ricerca di uno studente riguarda la facilità con cui troverà o meno lavoro successivamente agli studi universitari, partendo dal presupposto che ciò dipende in grande misura proprio dalla facoltà scelta. Per questo tipo di analisi ci viene incontro la ricerca di un'altra entità, AlmaLaurea, che è un consorzio fra le principali (ma non tutte) le università italiane. Alma Laurea elabora la percentuale di laureati che trova lavoro a un anno' e a cinque anni dall'addottoramento. Le due statistiche sono alquanto diverse. Entro il primo anno trovano lavoro soprattutto i laureati in Medicina (81,5 per cento), Design e Arti (79,9), Ingegneria (70,6). Nella scala bassa si trovano: Conservazione dei beni culturali (37,6 per cento), Farmacia (28,6 per cento), Scienze matematiche, fisiche e naturali (40,2). A cinque anni, però, la situazione è molto più omogenea, anche se permangono alcune differenze. Si va dal 70-71 per cento di occupati di Lettere e Filosofia, Conservazione dei beni culturali, Scienze matematiche, fisiche e naturali al 93 di Ingegneria, al 90 di Sociologia e Farmacia. Tutte le altre facoltà oscillano più o meno tra l'81 e l'89 per cento. Quindi, come si vede, molte differenza del primo anno vengono annullate. Anche se è vero che non si sa molto della "qualità" dell'impiego, nonostante AlmaLaurea tenti in alcune sue tavole di dare conto anche di questo aspetto. Come si può ben comprendere, tutte le analisi sull'occupazione ci dicono quello che è accaduto nel recente passato, ma nessuno ci può assicurare che il futuro abbia le stesse caratteristiche. “Nessuno è in grado di prefigurare le condizioni del mercato nel prossimo futuro”, dice il direttore di Alma Laurea, Andrea Cammelli. “Quindi rimane importante scegliere il percorso di studio in base alle proprie propensioni, investendoci con passione tutta la propria capacità, senza tentennamenti, per "imparare ad apprendere: funzione essenziale vista la sempre più rapida obsolescenza delle conoscenze. Le statistiche occupazionali servono per leggere le tendenze attuali: certo la crisi ha fatto lievitare disoccupazione e scoraggiamento tanto più consistenti nel Mezzogiorno e fra le donne, e ha colpito soprattutto i più giovani”. (A. Bonafede, La Repubblica 21-06-2010)
 
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