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RIFORMA RESTA-BERNINI SUL PRE-RUOLO PDF Stampa E-mail

Una bozza di riforma Resta-Bernini sul pre-ruolo, che il segretariato e la direzione generale del ministero dell’Università e della Ricerca hanno consegnato all’ufficio legislativo interno e a quello del ministero dell’Economia e delle Finanze, diventerà un decreto che sarà reso pubblico subito dopo le elezioni europee. Questa riforma di pianta ministeriale porta a sei le figure di contratto post-laurea. Tra le sei figure il cosiddetto contratto nazionale per la ricerca per chi è in possesso di un dottorato: prevede due anni di lavoro subordinato in cui lo studioso, considerato un lavoratore con relative tutele, è retribuito per 35.000 euro lordi l’anno, e può accedere alla Naspi che consente i contributi per la disoccupazione e ha garanzie sul fronte dell’eventuale malattia e della possibile maternità. Sono anche previste “borse di assistenza alla ricerca”, sia per studiosi junior che per ricercatori senior e un contratto post-doc per i dottorati. Infine, si profila la figura del professore aggiunto un docente assistente che per sei anni, rinnovabili su altra sede, affiancherà il professore’associato e l’ordinario.

La ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, lo scorso 5 ottobre aveva istituito un gruppo di lavoro formato da sette esperti (senza alcun rappresentante del mondo del precariato né di quello sindacale) per analizzare l’esistente e proporre soluzioni. Il gruppo era guidato dall’ex presidente della Conferenza dei rettori, Ferruccio Resta. Già al vertice del Politecnico di Milano, Resta conferma di aver chiuso i lavori in cinque mesi e di aver consegnato un progetto di lavoro alla ministra ispirato al documento CRUI dell’aprile 2021 che prevedeva, appunto, ricercatori post-doc (dopo il dottorato) per periodi di uno-tre anni e contratti di ricerca dopo la laurea tra i sei mesi e i tre anni.

Rosa Fioravante, segretaria dell’associazione ADI: “Servono risorse importanti sia per sostenere l’intero comparto universitario sia per dare ai ricercatori le condizioni di dignità minima che hanno i colleghi in Europa”. Il rischio è di portare avanti il precariato e perpetrare la fuga di cervelli. “Un sistema sano – continua Fioravante – prevede dottorato e poi massimo 3 anni di precarietà prima di iniziare la Tenure track. In Italia se ne fanno dieci, con questa riforma se ne faranno anche quindici. Il tutto in un Paese che é sotto organico su ogni figura universitaria, dal ricercatore post doc al professore ordinario”. Il rischio è di isolare sempre di più l’Italia dalla grande ricerca europea e internazionale. “Questa riforma peggiora l’attrattività delle carriere italiane che già non interessano ai colleghi esteri (i dati sono chiarissimi) e incentiva gli italiani ancora di più ad andarsene”.

F: C. Z. La Repubblica 02.06.24; corriereuniv.it 03.06.24