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DOTTORATO: EMIGRAZIONE, LAVORO IN ACCADEMIA PDF Stampa E-mail

Molti di coloro che si avvicinano alla fine del percorso di dottorato ritengono che emigrare sia una scelta plausibile, in alcuni casi quasi obbligata. In risposta alla domanda "Quanto ritieni probabile che tu viva e lavori in Italia 5 anni dopo il dottorato?", il 48,4% del campione ritiene che questo sia estremamente probabile, mentre un buon 21% crede che questa ipotesi sia altamente improbabile. Rimanendo nel contesto in Italia, infatti, le prospettive di carriera sono percepite come a dir poco incerte: comparando le intenzioni di lavorare in accademia all'inizio, durante e alla fine del triennio di dottorato, infatti, i giovani ricercatori riportano un progressivo ridimensionamento della propria visione iniziale: «l'ambizione di rimanere nel mondo accademico [è] diminuita nel corso di dottorato per il 78,5% del campione, mentre [è] aumentata leggermente solo per il 6,2%». A pesare sull'incertezza per il futuro è non soltanto la consapevolezza dei magri finanziamenti dedicati all'ambito della ricerca universitaria, ma anche la «complessità delle forme di contratto precario variegate e stratificate» e, non ultima, la mancanza di una chiara e completa informazione sui meccanismi del mondo del lavoro accademico relativi al periodo post-dottorato. F: Rapporto ADI, ilbolive.unipd.it gennaio 2024.